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«Scegli Giochi Preziosi!» suggeriva il jingle: uno dei tanti intermezzi pubblicitari dei pomeriggi davanti alla tv dei bambini degli anni '80. Oggi il marchio della maggiore realtà produttiva di giocattoli irrompe nei media, col suono degli alti lai lanciati dalla proprietà per il ricatto subito dalla Cina: 5.500 container pieni di balocchi e fermi nei porti cinesi, a causa della pretesa insufficienza di navi da inviare in Europa. Una situazione per sbloccare la quale Pechino chiede il pagamento di cifre sestuple rispetto a quelli che sono i costi ordinari, tenendo sostanzialmente in ostaggio la merce e mettendo a rischio la campagna vendite di Natale 2021. La società paventa conseguenze per gli oltre 2000 dipendenti in Italia ed Europa e per gli importanti investimenti previsti in Patria.


Quella dei trasporti è la nuova battaglia sui dazi, ci spiega l'imprenditore, invocando l'intervento del Governo Italiano, in vista di un «piano di reshoring dell'industria» che riporti in Italia le produzioni, consenta la creazione di nuova occupazione e lo sviluppo di proficui investimenti. «Ma è necessario avere il consenso del governo, con strumenti di supporto che riguardano contribuzione e tassazione».


Personalmente, tutto ciò che agevoli la rilocalizzazione della produzione industriale e la creazione di posti di lavoro incontra il mio pieno favore. Mi lasciano, tuttavia, perplessa questi tardivi pentimenti rispetto ad un metodo di produzione e delocalizzazione consolidato a cui tantissime realtà produttive si sono votate con zelo, senza rimorsi, per decenni. «Sono in Cina da 45 anni e lì realizziamo il 95% delle produzioni. Questo vale anche per i grandi gruppi americani perché Pechino è diventata la grande fabbrica mondiale del giocattolo» ci spiega l'imprenditore Preziosi: per la sua società, come per tantissime altre produzioni, la Cina ha rappresentato il naturale punto di approdo, grazie soprattutto ai costi bassi del lavoro. «Ma così abbiamo abdicato alla sua supremazia. Abbiamo fornito alla sua industria i frutti della nostra ricerca, i prototipi, il design, il saper fare tecnologico, il made in Italy a fronte di manodopera a buon mercato. È stata un'arma a doppio taglio. Entro breve tempo il costo del lavoro smetterà di essere competitivo. Il presidente Xi Jinping ha già promesso che i salari cresceranno. A marzo avevamo già incassato un aumento del 10-15% del costo delle produzioni chiesto da cinesi per l'aumento del prezzo delle materie prime. Ora il colpo finale» spiega l'imprenditore.


Non fosse per il contraccolpo negli stabilimenti italiani, sarebbe da farsi delle grasse risate: il modello di delocalizzazione funziona se e fino a quando a pochi è garantito ottenere il massimo profitto col minimo sforzo; nel momento in cui il Governo Cinese tutela l'interesse dei suoi lavoratori e per di più impone arbitrariamente un dazio mascherato da problema logistico, il vantaggio è perso, la cuccagna finita e si corre a casa da Mamma Stato, perché soccorra i figlioli prodighi con sgravi e contributi.


Giova ricordare che è di qualche anno fa la notizia che i 30enni cinesi guadagnano più dei loro coetanei italiani e che, se questi ultimi guardano come ad un miraggio la sobria sicurezza economica che fu dei loro genitori e nonni, i giovani cinesi possono vantare un tenore di vita migliore di quello della generazione precedente. La globalizzazione, che nelle menzognere promesse di certe sirene doveva assicurare l'up grade sociale ed economico dei Paesi emergenti rispetto a quelli industrializzati, ha in realtà prima portato le legittime aspirazioni dei lavoratori occidentali al livello di quelle dei colleghi esotici e, come nel caso della Cina, acclarato un clamoroso sorpasso. La delocalizzazione ha desertificato la produzione industriale interna e ora la battaglia dei trasporti e il blocco delle materie prime segnerà un'ulteriore debacle per imprese e lavoratori della "parte moderna e libera del mondo". Era ovvio e scontato che sarebbe successo, ma chi metteva in guardia da questa deriva, invocava cautela nel trasferimento di know-how e brevetti, chiedeva dazi e contromisure, è stato sbeffeggiato come paranoico e retrogrado.


Che dire Dott. Preziosi? Il giocattolo si è rotto.



Federica Poddighe (30 giugno 2021)

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