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L'esperimento che non ha bisogno del dubbio



Secondo viaggio fra le aporie del pandemismo mediatico. È ormai virale il video in cui Giovanni Floris, ospite del salotto gruberiano, dice a chiare lettere ciò che chiunque non avesse il salame sugli occhi (ma purtroppo lo hanno in molti) ha sempre saputo: siamo nel mezzo di una sperimentazione di massa, e per l'esattezza stiamo svolgendo il ruolo delle cavie. Quantomeno per chi accetta di svolgerlo.


La scoperta dell'acqua calda, insomma. Che diventa virale solo in virtù di un pregresso in cui chiunque dicesse l'ovvio veniva radiato dall'albo degli esseri umani. Cioè in virtù di un meccanismo manipolatorio che non si arresta neppure quando produce affermazioni vere. Infatti Floris poggia sul tavolo l'evidenza - con quel candore di chi dice "e chi lo ha mai negato?" - giusto per introdurre un ragionamento i cui difetti persino un giornalista dovrebbe notare. In sostanza, dice, i dubbi (di "buonsenso", ammette pure) ormai diffusi sull'opportunità o meno di fare da cavia potrebbero tradursi a settembre nell'assenza di dubbio, ossia nell'obbligo vaccinale.


Sebbene il gioco di parole la faccia sembrare perfino arguta, quest'affermazione è un capolavoro "anacolutico" senza pari: chi è che ha dubbi oggi? E chi non li avrà domani? Il soggetto cambia repentinamente (e ingannevolmente). L' "io speriamo che me la cavo" in salsa giornalistica dimentica che, per stare alle figure retoriche, la "sineddoche" non funziona più. I nomi dei presidenti del Consiglio e dei loro generali non sono nomi collettivi. Non esprimono la volontà di una nazione. Qui c'è una fetta consistente di popolo che dubita e continuerà a farlo (anche per "buonsenso" appunto). Poi c'è un pugno di cosiddetti rappresentanti - con giostre mediatiche al seguito - che non ha mai voluto il dubbio. E che farà di tutto per impedire che esso si trasformi in scelta. Solo che la coercizione non è assenza di dubbio: è piuttosto assenza di libertà. Bizzarro il ragionamento per il quale, se usi il buonsenso oltre il consentito, costringerai i guardiani del lecito a reagire. E non potrai lamentarti, perché alla fine sarà solo colpa tua, che hai usato troppo buonsenso. Mica di chi ti obbliga. Anzi, hanno pure provato a lasciarti libero, ma se tu questa libertà hai persino l'ardire di usarla, non possono far altro che togliertela.


Se oggi Nerone fosse ancora vivo e s'osasse dire che ha decretato la morte di Seneca, come minimo partirebbe la querela. Perché tecnicamente Seneca si è suicidato. Mutatis mutandis, la "logica" più o meno è quella (e l'esempio non è casuale, senonaltro per le risonanze esistenzialistiche cui può rimandare, e che aprirebbero un altro bel capitolo). Da fare invidia a certe elucubrazioni con cui a lungo i teologi hanno cercato di pacificare libero arbitrio e predestinazione, con tutto che di quei ragionamenti dovremmo rimpiangere quantomeno la sottigliezza.


Dunque siamo cavie. Possiamo scegliere se esserlo spontaneamente o farci obbligare. Tertium non datur, e viva la democrazia. La formula meschina per cui la verità, quando negarla diventa troppo faticoso, può essere usata contro se stessa, corre in parallelo con la caccia a renitenti e disertori, i cui elenchi vengono a gran voce richiesti da Figliuolo. Tutto è un allegro precipitare verso forme di post-democrazia imputate all'assurda pretesa di chi vuole scegliere. Se essere un uomo o un topo.


Cioè da chi frequenta il dubbio. S'era sempre supposto che fosse un'arte indispensabile, quella del dubbio. Che solo dubitando s'impara. Ma era anche quella una formula retorica, evidentemente.

Una volta, il mio professore di greco al liceo ebbe una discussione con un mio compagno circa un passo di Esiodo. Il mio compagno sosteneva di aver detto ciò che era scritto sul manuale, ed era vero. Il professore prese la Teogonia, lesse il passo in questione (dimostrando che il manuale aveva torto) e poi disse semplicemente che Esiodo non era tenuto a leggere i suoi commentatori. I quali semmai sarebbero stati tenuti a leggere lui, salvo che ciò fosse di eccessivo disturbo.


Nella sua semplice evidenza, quella battuta mi torna alla mente ora, in tempi in cui si pretende che la realtà - divenuta termine secondo, al più eco - tenga conto, nel proprio manifestarsi, dei suoi mediocri commentatori. E mi risuonano alle orecchie i tanti "il libro dice (o non dice) così" che ho poi sentito nella vita. Per giustificarsi di fronte a un'obiezione. L'universo totalitario della post-verità è in fondo tutto in quell'ingenua frase ripetuta da generazioni di studenti poco brillanti. Ch'essa diventi un generale grido di guerra (nella variante "la televisione dice così" o nelle sue sottovarianti "lo dice la Gruber o Floris o Mentana") è il sogno di tutti gli attori di questo miserevole spettacolo. L'assenza di dubbio esiste già per molti. Agli altri penseranno in autunno.


Che questa non sia più una democrazia, molti lo scopriranno quando - sempre al momento opportuno - lo diranno Floris o qualche suo replicante. Noi, anche stavolta, lo sappiamo già. Perché il dubbio lo pratichiamo, e quando ci costringono alla sua assenza, di norma, ce ne accorgiamo per tempo.


Gavino Piga (20 giugno 2021)

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