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Seid Visin non è stato ucciso dal razzismo ma dal lockdown


E alla fine si scoprì che la causa del tragico gesto del giovane Seid Visin non sarebbe “il razzismo”, come inizialmente propagandato dalla grancassa mediatica, bensì il lockdown. Un clamoroso rovesciamento di fronte, se si pensa che gli stessi “anti-razzisti”, che hanno strumentalizzato la morte di Visin per attaccare la Destra, spesso e volentieri sono anche i più accaniti sostenitori delle chiusure e delle restrizioni alla libertà.


Andiamo però con ordine, partendo da un rapido riassunto della vicenda per i pochi che non la conoscessero. Seid Visin, ventenne d’origini etiopi adottato da una famiglia italiana, si toglie la vita. La notizia ha visibilità perché il giovane in passato era stato calciatore nelle giovanili del Milan. I media prontamente rintracciano un suo sfogo del 2019 sui social in cui attaccava il razzismo e lamentava come, dall’insorgere dell’emergenza immigratoria, l’atteggiamento attorno a lui fosse cambiato. Certo, è un post vecchio di due anni, ma l’occasione è troppo ghiotta per gli sciacalli che fiutano un corpo ancora caldo su cui banchettare: viene tracciato un collegamento causale arbitrario che scavalca l’intero biennio e permette la strumentalizzazione politica. “È morto per colpa del razzismo”: così decidono i media di sinistra.


Come al solito il romanziere Roberto Saviano si rende responsabile di uno degli interventi più bassi e volgari: «Meloni e Salvini, un giorno farete i conti con la vostra coscienza, perché la sadica esaltazione del dolore inflitto ai più fragili prima o poi si paga. E vi auguro sinceramente che siano i vostri figli a vergognarsi di voi e a non darvi tregua. Per sempre». La strumentalizzazione del suicidio di Seid Visin è palese, la colpa viene addossata a due esponenti politici («pagliacci», li definisce col suo solito garbo) accusati d’ogni nefandezza; addirittura vengono tirati in ballo i rispettivi figli minorenni. Che bassezza! Ma il pur inqualificabile romanziere napoletano di questi tempi ha degni rivali. Citiamo un “intellettuale” che si può senz’altro paragonare a Saviano per statura e profondità di pensiero: l’ex calciatore Claudio Marchisio. Egli scrive che «facciamo un po’ schifo. Tutti», affibbiando la colpa della morte di Visin a «le vostre battute da imbecilli, quando fate discorsi stupidi e cinici sui gommoni e sul colore della pelle, soprattutto sui social network». Roberto e Claudio non lottano però da soli: per diversi giorni è stato uno stillicidio di accuse contro il razzismo degli italiani che avrebbe indotto il giovane al suicidio.


Tutto perfetto per la Sinistra; ma purtroppo era un’invenzione. I genitori adottivi di Visin, pur straziati dal dolore e (come si evince dalle loro parole) non certo insensibili ai temi immigrazionisti, non accettano la strumentalizzazione, in primis perché si tradurrebbe in un atto d’accusa verso quella comunità in cui vivono e che si è stretta attorno a loro in maniera solidale. «Il razzismo non c’entra, basta speculare sul nostro dolore», dichiara il padre. Ed ecco il colpo di scena: intervistati da una tv locale, i genitori dichiarano che Seid aveva cominciato a cadere in depressione a causa del lockdown che lo aveva isolato dal mondo.


È un peccato che i sedicenti “professionisti dell’informazione”, non appena l’argomento è passato dal (falso) razzismo alla (vera) segregazione forzata del lockdown, abbiano perso ogni interesse per la vicenda. Sarebbe stata un’ottima occasione per citare e denunciare le sofferenze patite in quest’anno e mezzo dai giovani, costretti a restare chiusi in casa, a rinunciare ad un’istruzione degna di questo nome, a perdere le occasioni di socialità e di crescita negli anni più formativi e più belli della loro vita. Un minorenne su due, ci dicono gli esperti, manifesta disturbi psicologici legati alle privazioni del lockdown. A essi andrebbero aggiunti i disturbi fisici derivanti dalla sedentarietà forzata, in primis l’aumento dell’obesità che, ironia della sorte, è uno dei fattori di rischio maggiori per chi contrae la Covid. E, per i giovani un po’ più grandi, potremmo aggiungere tutte le opportunità lavorative sfumate o le iniziative professionali fallite a causa della serrata economica imposta dallo Stato. Il tutto, giova ricordarlo, a causa di una malattia che per i giovani è poco pericolosa: i dati dell’Istituto Superiore di Sanità ci ricordano che in Italia i minori di 40 anni morti di Covid sono meno di 300 (di cui almeno 174 avevano gravi patologie pre-esistenti), su una porzione di popolazione pari a oltre 23 milioni di persone (i morti sono cioè lo 0,001%, ossia 1:100.000; interessante il raffronto col tasso di segnalazione con esito decesso dopo vaccinazione anti-Covid, che AIFA registra nell’ordine di 1,23:100.000, con incidenza maggiore proprio tra i giovani).


Sorprendente? No, se riflettiamo sul fatto che la strategia del lockdown generalizzato, del volontario annichilimento delle libertà e dell’economia perseguendo un fantomatico “rischio zero”, sia stata perseguita con convinzione e spietatezza per contrastare un’epidemia in cui l’età media dei decessi è pari a 81 anni (sempre dati ISS), ossia solo due anni in meno della speranza di vita alla nascita che si registrava in Italia nel 2019. L’Italia, e con essa molti altri Paesi europei demograficamente vecchi e moralmente senescenti, ha deciso di scaricare il peso di una malattia, grave per la componente più anziana, sui figli e nipoti di quest’ultimi. Si pensi anche alla recente vicenda dei vaccini “AstraZeneca”, rifiutati da molti ultra-sessantenni, categoria per i quali non presentano rischi specifici, e dal Ministero della Salute a guida Roberto Speranza rifilati – tramite open day e ricattatorio green pass – alle classi di età più giovani, per le quali esiste invece un rischio specifico di trombosi cerebrale. Insensato, irrazionale e irresponsabile.


Ciò aprirebbe profonde e importanti discussioni sullo stato del rapporto inter-generazionale, sulla incapacità del Vecchio Continente di valorizzare i giovani, sull’egotismo trionfante fin dal Sessantotto (i cui protagonisti sono oggi ultra-settantenni). Ma di queste cose non frega nulla a nessuno. Svanita la possibilità di far polemica contro “razzisti” e salviniani, la morte di Seid Visin è subito scesa nell’oblio. Ennesima riprova di quanto valgano le vite dei giovani per questa società gerontocratica.



Daniele Scalea (9 giugno 2021)

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