Non credo che in altri Paesi il "conflitto fra generazioni" sia fomentato ed esasperato ad arte, nello stesso modo e con la medesima costanza di come avviene in Italia. Per decenni le giovani generazioni (a iniziare da quelle oggi non proprio più giovanissime, come la mia) sono state aizzate contro le precedenti, ree di aver consumato, con menefreghismo gaudente da cicala esopica, risorse e risparmi, di aver generato e nutrito quel mostro terribile chiamato Debito Pubblico, di aver irrimediabilmente compromesso la possibilità per figli e nipoti di ambire ad una dimensione dignitosa di vita e lavoro.
E così, molti di noi - cresciuti in famiglie del ceto medio: stipendiati pubblici o privati, piccoli commercianti, liberi professionisti - hanno visto sfumare quella certezza, data per acquisita, per cui la situazione di stabilità e sicurezza economica dei propri genitori o nonni doveva essere il punto minimo di partenza, da cui avviarsi verso un futuro di ancora più floride promesse e di ben più eclatanti sviluppi.
È difficilissimo trovare oggi un 30/40enne che non sia visceralmente persuaso di scontare, con la propria precarietà lavorativa e le insormontabili difficoltà di costruire un qualsivoglia progetto di vita, i bagordi a cui si sarebbero abbandonate le generazioni precedenti. È difficile persino trovare un esponente di quelle stesse generazioni accusate di egoismo che oggi contesti e smentisca una narrazione oramai assurta a verità storica.
Ma, con l'avvento della Pandemia, finalmente i ruoli possono invertirsi e da più di un anno si assiste alla assurda colpevolizzazione delle giovani generazioni, a cui viene contestata l'egoistica incapacità di fare rinunce e sacrifici per non mettere in pericolo coloro che, per motivi anagrafici, sono più vulnerabili al male. Quella ad un'istruzione correttamente impartita, che metta nelle stesse condizioni ciascuno studente, a prescindere dalla sua peculiare situazione economica e familiare, è divenuta una assurda pretesa. Tanto più se paragonata alle rinunce e privazioni di ipotetici scenari bellici o di inedia atavica, che, peraltro, gli attuali fruitori di pensione retributiva o di corposi emolumenti da fine carriera hanno letto solo nei libri. I nipotini sono vettori di morte sotto sorridenti e paffute spoglie e una generazione di bambini affronta il disturbante senso di colpa di essere, in potenza, causa della prematura dipartita dei propri cari. Non si parli poi di esigenze ancora più futili ed effimere, come quella della socialità, delle relazioni, dei rapporti umani di uomini e donne in erba che stanno costruendo la loro personalità e imparando a rapportarsi con il mondo.
È desolante constatare come in Italia la volontà di contrapporre e dividere trovi sempre individui pronti a farsene portatori, con zelo e convinzione assoluti. E fra tutte le contrapposizioni possibili - dipendenti pubblici/ lavoratori autonomi; destri/ sinistri; chiusuristi/aperturisti; runner indomiti/abbonati Netflix - la summa divisio generazionale resta una costante che attraversa i decenni.
Eppure, l'artificiositá di questa contrapposizione è impietosamente svelata dal comune destino dei poveri individui schiacciati dalle sue conseguenze. Pensiamo al ragazzo di 16 anni lanciatosi dalla finestra di casa ("la solitudine mi ammazza") che poteva essere nipote del 91enne ospite di una casa di riposo, morto nel tentativo di "evadere", calandosi dalla finestra della sua stanza, divenuta verosimilmente troppo angusta, anche per via del veto alle visite dei parenti, imposto da oltre un anno per via della crisi sanitaria.
Due destini atroci, verosimilmente segnati anche da problematiche ulteriori e preesistenti, come si affretteranno a far notare i pignoli disincantati. Ma emblematici e rivelatori dei veri mali che finiranno per schiacciare i piu deboli e vulnerabili, nel frattempo che dall'alto vengono calate le indicazioni sulle nuove vittime e i nuovi carnefici, affinché lo scontro improduttivo e fratricida prosegua senza disturbare i manovratori.
Federica Poddighe (11 maggio 2021)
Foto: ANSA
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