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Covid Pass? Non sarà un passaporto provvisorio



Sul Covid Certificate europeo ci rassicurano: si tratta di una misura provvisoria, destinata a durare lo spazio di un'emergenza. Appunto perciò non si chiama più Green Pass, ma porta il nome dell'odiato virus che ne è anche l'unica ragione. Lo ha ribadito ieri ai microfoni di Byoblu24 l'europarlamentare FDI Vincenzo Sofo - precisando di essersi comunque astenuto dal voto sul regolamento - ma lo stesso argomento era già stato usato a marzo dalla leghista Regimenti. E c'è da aspettarsi che venga usato ancora, nell'imbarazzante tentativo di strizzare l'occhio a settori antisistema con cui poi si flirta volentieri in occasioni elettorali. Allora, siccome dopo vent'anni di regolamenti antiterrorismo per prendere un aereo c'è ancora chi crede in questo approccio, sarà il caso di fare un veloce ripasso.


Il regolamento adottato ieri, che prevede di avere validità per la durata massima di 12 mesi, impone alla Commissione di relazionare sulla sua efficacia al Parlamento entro tre mesi prima della scadenza. Il che sembra preludere a una possibilità di conferma o di aggiornamento, più che di revoca. Si potrebbe scommettere che allo scadere dei termini, laddove non sia possibile riciclare il testo attuale, ci sarà già un nuovo regolamento pronto ad essere tolto dal cassetto per rispondere ancor più efficacemente alle nuove sfide epidemiologiche che certamente si porranno. Il che significherà ovviamente che il Covid Pass non sarà servito ad allentare la crisi, ma ciò non impedirà di confermarne e consolidarne l'adozione. Non è difficile immaginarlo, dopo un anno e mezzo di emergenza in cui è stato demonizzato qualunque tentativo di fare il punto sulla evidente inefficacia di tutti gli strumenti utilizzati.


Non lo dico per eccesso di sospetto o tendenze complottiste. Semplicemente rilevo che, mentre si sventola la transitorietà del nuovo lasciapassare, con puntualità da manuale arriva la conferma ufficiale sulla durata della validità vaccinale: pochi mesi. Dove "ufficiale" significa più o meno che la cosa era risaputa ma ora si può anche dire. Ciò implica - titola la stampa nostrana - che bisognerà vaccinarsi ogni sette mesi per molti anni. In particolare, la conferma giunge da Moderna, che guardacaso ha recentemente avviato una partnership con IBM per l'implementazione delle infrastrutture digitali necessarie a rendere operativo anche questo genere di lasciapassare frontalieri. Così si intuisce meglio anche quali saranno i limiti temporali dell'emergenza e della misura "provvisoria".


Tanto provvisoria ed emergenziale, del resto, che, come sappiamo (e sanno certo anche gli europarlamentari) è allo studio della Commissione Europea dal 2018. Con tanto di cronoprogramma - pubblicato nel febbraio 2019 - in cui neanche a dirlo si prevedeva l'entrata a regime della "Carta Comune di Vaccinazione UE" entro il 2021/22. Quando si dice l'emergenza.


La verità è che il Covid Pass entra nel cuore di una strategia di lungo .- molto lungo - respiro, in simbiosi con l'ormai avviata Agenda ID2020, la cui attuazione è stata ratificata a gennaio dal Bundestag tedesco. Ratifica che di fatto ha costruito un buon palinsesto per il voto di ieri. Il quale, ad onta dei proclami di provvisorietà, è l'anello al dito nel matrimonio - tutt'altro che transitorio - tra colossi farmaceutici e digitali, che fa definitivamente del mercato sanitario il terreno su cui far correre una impact economy bisognosa di database su vasta scala. Frattanto i vaccini a ciclo continuo andranno a costituire un asse della nuova normalità anche sotto il profilo psicologico, perché all'emergenza ci si abitua.


Del resto il voto sul pass deve letto che in un contesto più complessivo. Dove convergono gli altri due fronti caldi del momento. In primo luogo si mette mano alle normative sull'Intelligenza Artificiale. Un'urgenza che temo non derivi dalla necessità di limitarne le applicazioni: urge piuttosto dare ai Big Tech definitiva cittadinanza giuridica entro i confini europei. Costruire l'impalcatura che renda agibile lo spazio europeo per investimenti che oggi vedono l'UE in netto dislivello rispetto agli USA.


Anche qui i media stanno profondendo il massimo sforzo: il regolamento proposto dalla Von Der Leyen viene sventolato come argine alle pulsioni selvagge di un mercato in espansione. Come riprova che sul suolo europeo prevarranno i diritti delle persone. Uno spin improntato al senso di fiducia, che punta su alcuni specchietti per le allodole (come l'annosa questione del riconoscimento facciale, vietato ma in realtà autorizzato con una serie di significative deroghe) per mettere in secondo piano le più pericolose (ma lucrose) potenzialità di una tecnologia che non accetterà paletti sotto la facciata, come dimostra il caso degli USA. A maggior ragione se la facciata è già assai poco solida: sempre sul riconoscimento biometrico, dove di fatto la Commissione dà ampio spazio discrezionale ai governi, già si prevede una deroga, ad esempio, per le attività di ricerca di sospetti criminali da parte della polizia, il che - quando ormai i droni, con platee di telespettatori al seguito, ci hanno mostrato quanto sia facile accostare il "criminale" a un individuo che corre solitario sulla spiaggia - un poco m'inquieta. Soprattutto in una situazione così poco rassicurante quale è quella delle emergenze infinite.


La verità è che l'IA, l'ID2020 e il Green Pass sono parte di una strategia di saldatura niente affatto stagionale fra infrastrutture digitali, mercato biomedico e strategie d'eccezione permanente. Sono le gambe su cui si muovono i cercatori di big data del nuovo millennio. E poi c'è il secondo fronte: quello di una ristrutturazione politico-amministrativa dell'UE che possa adeguarsi alla nuova strategia economica.


Ecco dunque Sassoli che, a gamba tesa, interviene per dire che "bisogna ripensare la democrazia parlamentare". Così almeno ci svela il vero fine della Conferenza sul futuro dell'Europa, proposta nel 2019 da Macron per - si diceva - riformare i famigerati Trattati. Complice la pandemia, nonché le fratture politiche profonde che attraversano l'UE, solo ora il progetto entra in porto. Ma da riformare non ci sono più i Trattati: il Consiglio ha definitivamente escluso questa possibilità. Resta però la democrazia, nientemeno. Tanto che la poderosa scenografia partecipativa - con tanto di piattaforme digitali tardo-grilline e "dialoghi di cittadinanza" - è già in moto. Assomiglia alle strampalate forme di consultazione "popolare" auspicate dai teorici della open democracy. Quelli - per intenderci - che vorrebbero risolvere lo scollamento fra rappresentati e rappresentanti cooptando accanto ai decisori platee casuali di cittadini. In modo - penseranno i malevoli - da infiocchettare proposte già giacenti nei soliti cassetti come esito di un percorso partecipativo, magari con leggero restyling. Gli stessi secondo i quali, con un percorso del genere, non si sarebbe mai arrivati a dover indire un referendum sulla Brexit, e i britannici non avrebbero dunque avuto la possibilità di votare in maniera sbagliata. Del resto - non dimentichiamolo - la Conferenza lanciata da Macron si stendeva sul trauma delle (forse troppo) partecipate elezioni europee del 2019: altri (apparenti) paradossi.


Tutto molto transitorio, come si vede.


Gavino Piga (1 maggio 2021)

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