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Afghanistan vent'anni dopo: la menzogna e la farsa



Non sono certo una fine analista militare o geopolitica: non so dire se dietro l'abbandono dell'Afghanistan da parte delle truppe Nato ci sia davvero la resa ad una presunta superiorità tattica o alla strenua resistenza dei Talebani o semplicemente l'esaurimento degli scopi per cui quella operazione era stata voluta.


Vent'anni fa, i fatti drammatici dell'11/09/2001 con la prima spettacolare diretta di un evento eclatante (internet e i social erano di là da diventare mezzo di diffusione/propaganda, ma la T.V. si prestava perfettamente), si dava la stura a tutta la narrazione sul terrorismo, sugli aerei dirottati coi temperini, sulla necessità della "legittima difesa preventiva", sul dovere dell'Occidente di liberare i popoli oppressi negli Stati canaglia. Narrazione sul cui altare anche noi Italiani abbiamo sacrificato vite umane - quelle dei nostri soldati - e miliardi di euro più utilmente impiegabili in patria.


Abbiamo visto le storture dell'occupazione militare in Afghanistan e in altri Paesi; i soldati occidentali che presidiavano gli sterminati campi di oppio, i caccia militari che atterravano pieni di eroina afghana nel narco-stato kosovaro (la cui invenzione fu un altro brillante risultato della guerra Nato contro una nazione sovrana); quell'orrore senza fine e vergogna che è tuttora la prigione di Guantanamo.


Abbiamo adattato le nostre abitudini alle regole imposte per questa "lotta al terrore", per lo più risoltesi in controlli più o meno approfonditi a seconda degli aeroporti, nell'impossibilità di portarsi dietro contemporaneamente shampoo/balsamo/crema notte e giorno senza porzionarli in appositi contenitori, nella necessità di pagare 2.50 euro mezzo litro d'acqua acquistata dentro il terminal.


Il tutto, mentre in Europa gli attentati terroristici di estremisti islamici veri o presunti si ripetevano per mano di soggetti ben noti e monitorati dai servizi segreti, ma liberi di spostarsi e di uccidere.


Oggi, dopo 20 anni, quella narrazione, che a tanti era apparsa ridicola e inverosimile fin dall'inizio, si infrange dinnanzi alle cartine che mostrano l'avanzata talebana irrefrenabile in tutto il territorio e di fronte alle foto dei fondamentalisti che giocano felici negli autoscontri delle giostre occupate o esibiscono gli arsenali poderosi di armi sottratte alle basi americane.


Come nella ex Jugoslavia, come in Iraq, come in Libia e come avrebbero voluto fare in Siria, lo scopo degli esportatori di democrazia non è vincere un nemico, non è emancipare un popolo, ma depredare, razziare, balcanizzare e distruggere.


La vittoria, come noi la intendiamo, non è probabilmente un obiettivo contemplato, o lo è con riferimento a un premio ben diverso da quello millantato e fintamente perseguito. Dopo 20 anni, forse sono evidenti a tutti - compresi quelli che si erano persino bevuti la storia di Osama Bin Laden ucciso e sepolto in mare - la menzogna e la farsa.

Ma siamo ancora qui a dibatterci in altre farse, a credere ad altre menzogne, a spingere avanti l'argomento scientifico e inoppugnabile del "figurati se si spingerebbero a tanto!" Siamo ancora qui a spaventarci e a credere alle provette agitateci sotto il naso come prove inconfutabili, a convincerci che tutto sia fatto nel nostro "best interest". E mentre ci dibattiamo nella farsa di oggi, già si prepara quella di domani, con altri inoppugnabili argomenti quali "d'estate fa caldo caldo", per convincerci che il nostro stile di vita - che già da 30 anni non è tutto questo Carnevale di Rio - sia da irresponsabili egoisti e vada drasticamente ridimensionato.


Ma siccome la Storia insegna che la Storia non insegna nulla, guardiamo i Talebani divertirsi nell'autoscontro e riprendere il controllo dell'Afghanistan in 4 giorni e facciamo spallucce, borbottiamo il nostro disappunto, poi passiamo a mettere un like alla successiva fake news di regime, più inverosimile delle trasmissioni di Bin Laden dalle grotte afghane, ma altrettanto capace di confermare le nostre paure, avallare i nostri pregiudizi e compiacere le nostre speranze.


Federica Poddighe (14 agosto 2021)

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