In un discorso in lode dei caduti del primo anno della Guerra del Peloponneso (431-403 a.C), Pericle di Santippo, il più importante degli ateniesi, stratego e mente del conflitto contro Sparta, tesse le lodi del modo di vivere e del sistema politico della sua polis.
Gli ateniesi amano il bello, ma con semplicità, sono filosofi perché amano il sapere, usano la ricchezza perché permette di agire, non si vergognano della povertà ma si impegnano per superarla. A governare questa città nella sua epoca d'oro - l'ultima in cui si poteva essere felici perché intelligenti, ebbe a dirne Bertrand Rusell - è la democrazia: un sistema in cui chi non si occupa degli interessi pubblici è considerato «non già ozioso, ma inutile», e le questioni politiche sono «ponderate convenientemente», senza mai credere che «il pensare o il discutere siano un danno per l'agire». Se danno esiste, infatti, è costituito dal «non essere informati delle discussioni prima di entrare in azione». Questo è, secondo Pericle, il grande vanto degli ateniesi: «osare e ponderare al massimo grado» prima di scegliere cosa fare. A questa attività non sono però chiamati degli oligarchi, bensì l'intera cittadinanza che solo attraverso la discussione, la diffusione dell'informazione e la riflessione, giunge alla decisione politica. In breve questo è, magistralmente riportato da Tucidide, il senso del sistema democratico.
Pericle parla in un momento di grande difficoltà e le sue parole servono anche a distogliere gli ateniesi dalle loro sventure: pubblicamente seguono i suoi consigli, ma privatamente se ne lamentano, avendo molti di loro perso privati vantaggi durante il primo anno di guerra, tanto da imporgli una multa. Eppure, poco dopo Pericle viene rieletto alla carica di stratego, perché, nonostante le proprie sciagure private, viene ritenuto «adattissimo ai bisogni attuali della nostra città». La società ateniese del V secolo avanti Cristo non conosce la nostra separazione netta fra sfera pubblica e sfera privata, quella che sarebbe tutelata dal diritto alla privacy, ma è comunque in grado di scindere i problemi del singolo da quelli della comunità. Fa questo perché tutti hanno qualcosa in ballo, tutti sono cioè parte del problema e parte della soluzione. Questo, ancora una volta, significa democrazia.
Pericle muore in seguito all'epidemia di peste (forse fu il tifo, certo non quella che noi chiamiamo comunemente peste), ma la guerra prosegue, così come resta vivo il sistema democratico ateniese. La alleata città di Mitilene viene accusata di ribellione e l'assemblea ateniese decide di mettere a morte tutti gli uomini e rendere schiavi le donne e i bambini; una trireme salpa alla volta della città, ma l'assemblea viene convocata per esprimersi una seconda volta. A favore dei mitilenesi parla Diodoto di Eucrate, contro di loro Cleone.
C'è un passaggio del suo discorso che è molto importante: secondo Cleone gli uomini più semplici governano meglio una città di quelli più intelligenti, perché questi ultimi tendono a mostrarsi «più saggi delle leggi» e finiscono per innamorarsi delle proprie opinioni. Al contrario, chi si ritiene meno sicuro della propria intelligenza guarda alla stabilità delle leggi, piuttosto che alla capacità retorica dell'oratore che vuole mettersi sopra di queste. È necessario, in una democrazia funzionante, «non lasciarsi entusiasmare dall'abilità retorica» e dalle gare di intelligenza se non si vogliono prendere scelte azzardate. Atene non ha una costituzione nel senso moderno del termine, ma ha delle leggi che vengono prima di ogni altra cosa. Parole vecchie di decine di secoli, ma che spiegano cosa significa democrazia.
La guerra del Peloponneso è un libro che si legge con una certa fatica: scorrevole e avvincente nella riproposizione dei discorsi, più difficilmente nelle parti che ci rendono conto delle vicende. Eppure, regola d'oro della scrittura sarebbe quella di leggere prima di scrivere e, quando si vuole parlare di democrazia, bisognerebbe cominciare proprio dalle origini. Denuncia invece una certa impreparazione da questo punto di vista il vincitore del Premio Strega, Emanuele Trevi.
A partire da un ritratto dei «novax che non ti aspetti» e che hanno scalfito alcune certezze dell'autore, Trevi ci dice che il problema di questa categoria è ignorare «che l'essenza della democrazia è fidarsi di chi sa».
Posizione legittima, quella per cui bisogna fidarsi di chi sa, ma certo con la democrazia non ha nulla a che fare. Stregato dalle sue stesse parole, il premiato scrittore dà al termine un significato fantasioso: avrebbe a quel punto potuto metterci qualsiasi altra parola e avrebbe ottenuto lo stesso risultato. L'essenza della democrazia non è fidarsi di chi sa, ma, e Pericle ce lo ricorda da oltre duemila anni, discutere, informarsi (che è ben diverso dall'atto del fidarsi), discutere ancora e ponderare, che ancora una volta è diverso dallo stanare.
Certo, se davvero Trevi avesse in mente la democrazia avrebbe vergogna nel citare Emmanuel Macron, definito una «persona seria», e lodato per la sua visionaria introduzione di un lasciapassare sanitario. Macron sarà pure una persona seria, ma è un altro che sta alla democrazia quanto l'esempio precedente: le ultime elezioni amministrative, che nelle democrazie moderne sono l'atto legittimante, hanno visto il suo “partito”, raccogliere il 10% dei consensi. Grave di suo, se non fosse che quel 10% è recuperato da soltanto un 30% degli aventi diritto al voto. Macron sarà pure persona seria, ma certo non democratica, se lo fosse sarebbe già scappato dal ruolo che occupa, presentando delle dignitose dimissioni. Invece, sempre dall'alto di una legittimazione assente, instaura una legge liberticida e ostile a tutta la storia francese dal 1789 a oggi.
Ancora una volta ci lasciamo stregare dalle parole, Macron non è democratico perché non rappresenta un demos, rappresenta invece se stesso e chi li lo ha ardentemente voluto. Ricorda un uomo che potrebbe essere suo padre, che imita le sue scelte, e che siede in un'altra capitale europea a noi più vicino.
Le Peuple souverain s'avance
Tyrans descendez au cercueil
Maurizio Cocco
Comments