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Il vaccino: un mezzo per costruire la logica dell'obbedienza



Stefano Puzzer, portavoce dei portuali triestini che capeggiano la rivolta contro l’assurda imposizione del green pass, è vaccinato. Lo scrivo come incipit, sperando così che questa riflessione possa svilupparsi ed essere recepita a prescindere dalla stantia contrapposizione vaccinati/non vaccinati o, tradotto nella vulgata corrente, “persone responsabili/no vax”. Sperando che si riesca a ripercorrere con oggettivo distacco e onestà intellettuale tutta la assurda china che ci ha condotto dove oggi ci troviamo.


Nello scorso mese di febbraio, quando iniziavano ad essere somministrate le prime dosi di vaccino, si dava assolutamente per scontato che lo stesso dovesse essere garantito, oltre che a certe categorie professionali (la cui individuazione già destava qualche perplessità), a soggetti fragili e vulnerabili per età e patologie pregresse. Tanto da far stigmatizzare e censurare quelli che provavano (e riuscivano) ad ottenere l’inoculazione, pur non presentando le caratteristiche previste. Il postulato per cui il vaccino dovesse necessariamente essere somministrato erga omnes, a prescindere da età e situazione clinica, si è fatto strada progressivamente e inesorabilmente nell’arco delle settimane e dei mesi: nessuna anamnesi sulle condizioni di salute dall’individuo ricevente; le considerazioni sulla limitatissima perniciosità, in termini percentuali, della malattia liquidate come disinformazione; i dubbi avanzati sulla reale necessità di vaccinare chiunque - compresi bambini e ragazzi sani per cui non vi è letteralmente statistica di effetti gravi e letali del covid - prima irrisi come sintomo di ignoranza, poi violentemente osteggiati come segnale di scarso senso civico e morale.


La comunità scientifica, che fittiziamente si voleva rappresentare come un corpo coeso e omogeneo, impegnato in una eroica battaglia contro l’oscurantismo e l’ignoranza, si spaccava clamorosamente sul tema dei vaccini e delle cure per il covid: scienziati ed esperti con i più alti indici, le più numerose e autorevoli pubblicazioni e indiscussi riconoscimenti internazionali, venivano liquidati come bufalari o rimbambiti da medici semisconosciuti, saliti alla ribalta, più per la loro onnipresenza in tv e nei social e per i loro toni grotteschi, che non per oggettivi meriti professionali.


In spregio alla narrazione che voleva schierati da una parte i consapevoli e informati e dall’altra gli ignoranti ossessionati, alcuni studi d’oltreoceano spiegavano che nelle appartenenze sociali e culturali dei “renitenti” al vaccino si osservava un andamento ad U: si opponevano all’obbligo surrettizio sia gli individui con titolo di studio e professione meno “prestigiosi”, sia quelli appartenenti a classi sociali più alte, con professionalità e formazione di livello molto elevato. I nostri stessi medici (i “volontari” degli hub vaccinali a 80 euro/ora) si lamentavano che “Quelli con un livello culturale più alto, sono i più difficili da convincere…”.


Mentre esimi giuristi e filosofi spiegavano il limite inviolabile dell'habeas corpus, argomentando la deriva inarrestabile che una tale ingerenza nel bene più sacro dell’individuo avrebbe comportato, le persone semplici e di buon senso, con la loro pacata intelligenza e la loro istintiva diffidenza verso forze che da decenni erodono scientificamente ogni ambito dei diritti giuslavoristici e dei presidi previdenziali e sociali, bypassando la comprensione del “latinorum”, rivendicavano l’inviolabilità del proprio corpo e del proprio arbitrio.

Nel mezzo di quella U si collocava l’intramontabile “ceto medio semi-colto”, quello stigmatizzato dal filosofo Preve, ascrivibile tradizionalmente ad un ben noto orientamento progressista, le cui fila risultavano, stavolta, ingrossate da una appartenenza politico/ideologica trasversale, frutto del bombardamento mediatico sulla pandemia e della ineffabile vocazione al conformismo e all’appartenenza al gruppo dei presunti migliori.

Mi spiace per le tante brave persone che si sono sentite a loro agio nella schiera della maggioranza “consapevole e informata”, ma per mesi la logica che ha mosso molti di loro è stata quella del branco. Esattamente quella che porta individui miti e innocui a compiere gesti spregevoli, se supportati e trascinati da un nutrito gruppo di persone che rivendica come giusto e necessario un dato comportamento.

Come giustificare, se non con la logica del branco, l’accettazione – in alcuni casi persino compiaciuta – delle limitazioni imposte ad un bambino di 12 anni che voglia assistere alla proiezione di un film o accedere ad una biblioteca, o ad uno studente di 20 anni che voglia continuare a studiare all’università, nel nome di un pericolo inesistente per loro e scongiurato per i soggetti vulnerabili ormai vaccinati? Il desiderio di veder umiliato, emarginato e privato dei più basilari diritti un altro individuo solo per una differenza di opinione?

Al culmine, almeno per ora, di questa deriva si colloca l’obbligo di certificazione verde per tutti i lavoratori. Un obbrobrio giuridico, frutto della codardia di un esecutivo che teme l’imposizione di un vero e proprio obbligo e della strafottenza di un governo che ritiene di poter mettere sotto scacco quel 15% di irriducibili, con il ricatto infame di togliere a loro e alle loro famiglie il sostentamento. E così, dopo la terza dose a cui seguirà una quarta, dopo la proroga, contraria alle evidenze scientifiche, di durata del green pass e quella ancora più oscena della scadenza dei vaccini, l’80% e oltre dei responsabili deve sorbirsi l’umiliazione di vedere che un vaccinato dell’ultima ora ottiene il lasciapassare immediatamente, mentre loro hanno dovuto attendere 2 settimane dopo ciascuna dose per risultare “immunizzati”.


Dopo lo sdegno scomposto di fronte alla timida proposta di rendere meno gravoso economicamente e materialmente il tampone con ricorso ai salivari o ai test gratuiti, i diligenti della prima ora osservano il governo supplicare una intera categoria di renitenti perché non si astenenga dal lavoro, promettendo test gratuiti a centinaia e centinaia di “ignoranti paranoici”. Non era dunque l'obbligo di lasciapassare volto a imporre il vaccino?


No. Perché il vaccino non è il problema. Il vaccino non è il fine, ma il mezzo. Non c’è alcuna urgenza e necessità scientifica, con quasi l’85% della popolazione over12 vaccinata, di vaccinare il restante 15% circa. Le esperienze dei Paesi scandinavi, di tanti stati Usa e, in senso speculare e contrario, di Israele, Singapore e UK lo dimostrano. A chi ha compiuto legittimamente la scelta di vaccinarsi, sia che senta affacciarsi i primi dubbi di fronte ad un numero infinito di dosi da subire e all’accanimento antiscientifico del governo, sia che rimanga saldamente convinto di essere al sicuro nella mischia, io chiedo di riflettere su quale sarà il prossimo obbligo che gli sarà imposto per ottenere il lasciapassare a svolgere un lavoro, a visitare un malato, a ottenere delle cure, a realizzarsi nella sua dimensione sociale e comunitaria.


Perché il vaccino è solo un mezzo e ci saranno inevitabilmente altri atti di obbedienza e abiura da compiere e non sempre risulteranno scontati e ammissibili anche a chi oggi si sente comodamente collocato nella maggioranza dei tutelati. Chi lotta contro il green pass lo ha già capito e non si piega al ricatto economico, morale e fisico. E, in definitiva, sta lottando anche per chi ancora non l'ha capito.


Federica Poddighe

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