
Contro il mainstream - e fintantoché esisteranno spazi di dissenso sulle piattaforme più frequentate - è necessario elaborare una strategia precisa. Niente di sconvolgente o di nuovo: semplici regole che conosciamo, ma mi sembra utile trovare uno spazio in cui metterle in fila e discuterle in maniera più organica.
Sorvolo sulla lotta impari, i mezzi impossibili da contrastare etc. Tutte cose vere, ma ho sempre pensato che se non sei il bambino che lancia una pietra contro il carro armato, in un modo o nell'altro sei dentro il carro armato.
Trovo utile, piuttosto, dividere per categorie i nostri avversari. Non sempre è facile, e questa è appunto la tattica nemica (per la quale l'opinionista è giornalista, il giornalista è l'esperto, il comico è politico o giornalista, e via dicendo). Cerchiamo però di non farci avvolgere fra i fumogeni. Prendiamo queste ombre che ci alitano addosso non per quel che dicono di essere o per le etichette con cui ci vengono confezionate, ma per quel che fanno nell'unico contenitore che garantisce la loro esistenza. In base, cioè, alla figura mediatica che incarnano. Perché parlare di Burioni come di un medico quando il suo compito - in relazione a noi - è essenzialmente quello del provocatore?
Ecco, cominciamo proprio da quella particolare sottospecie dell'opinionista, influencer etc. che è il provocatore specializzato. Sappiamo che la vera ragione di vita di un Saviano o di una Murgia è l'attesa (puntualmente soddisfatta) che si parli delle stupidaggini che dicono, sparate apposta per provocare polemiche. L'importante è che se ne parli, il che li rende vivi e capaci di non trovarsi un lavoro. Dunque, prima regola: ignorarli. Anche quando colpiscono basso (è il loro mestiere). Chiudere le orecchie al rumore di fondo che provocano col loro affannarsi ad essere riconosciuti presenti. Scegliersi i propri interlocutori è il primo requisito per costruire la propria identità.
Mi si dirà che, mentre noi chiudiamo le orecchie, la grande maggioranza intorno a noi le tiene spalancate. Vero, ma il modo migliore per aver ragione di un provocatore è non farsi trascinare sul suo piano. Se cedi, è finita: vincerà lui. Anche se verrà sopraffatto da una voce che è riuscito a trasformare in contraria ma uguale alla sua. Dunque allargare il campo del proprio discorso assottigliando il loro non è cosa da farsi stando al loro gioco. Si noti infatti quanto sono abili a imporre il loro argomento di dibattito e, nello stesso modo, a ignorare quelli proposti dai loro detrattori, salvo che non siano anch'essi utili ai loro scopi.
Il punto (ed è questo che, secondo me, non riusciamo ancora a focalizzare bene) non è fare in modo che più persone si indignino per le loro scemenze, ma che più persone ripetano insieme a noi: chi sono costoro?
Lucarelli chi? È l'unica frase che la celebre (appunto) dispensatrice di opinioni non sopporterà mai, perché la neutralizza. Dire: Lucarelli chi? non significa non sapere chi sia (dato il dispiegamento di forze, questo sarebbe davvero utopistico) ma averne riconosciuto e metabolizzato l'irrilevanza ai fini di un dibattito. Cosa che non si ottiene continuando a ripetere quanto sia irrilevante ciò che scrive.
Non è facile, certo, e loro lo sanno: occorre lavorare a lungo su se stessi per poter sfiorare l'avversario con lo sguardo al solo scopo di passare oltre. Ma il punto è proprio questo: loro non esistono in virtù di chi li adora, bensì proprio in virtù di chi li detesta. Per questo il loro linguaggio è intriso di veleno. Hanno dei bersagli da colpire. Tutti i provocatori hanno successo nella misura in cui colpiscono, e colpiscono chi si lascia colpire. Vincono se tu t'incavoli. Quando uno Scanzi non sarà più capace di farsi insultare, senza che abbiano eliminato fisicamente oltre la metà della popolazione, non servirà più a nulla. La sua funzione mediatica sarà grossomodo esaurita.

Ribadisco: non aggiungere le nostre voci al loro chiacchiericcio non significa chiudersi nella torre d'avorio. Se la Murgia dicesse che chi non indossa mutandine rosa è sessista (sempre che non lo abbia già detto) e io commentassi la sparata per mostrarne la stupidità, a chi mi starei rivolgendo? A quelli che la seguono? Ma se continuano a seguirla non c'è speranza di poter argomentare. E poi il mio obiettivo non è convincere tutto il mondo, ma allargare lo spazio di un discorso altro (sulla differenza fra allargarsi e convincere magari tornerò un'altra volta: dico solo che il proselitismo è un'esigenza da frustrati). A quelli che la detestano? Ma allora restiamo dentro la nostra torre, dove chi ci segue non ha bisogno di conferme: di solito le cercano gli indecisi. Agli "indecisi" dunque? Se hanno un briciolo di cervello ci arriveranno da soli, e la pop star del politically correct avrà fatto un autogol. Se non lo hanno, si torni alla prima ipotesi (oppure si ragioni su se stessi, perché - possiamo dircelo - a volte certa informazione indipendente, e proprio quella più sponsorizzata, non convince per oggettivi limiti intrinseci, ma questa è un'altra storia).
E se qualcuno di questi produttori di opinioni dicesse che chi non si vaccina deve morire (il che è stato in vario modo praticamente detto, sotto forma di augurio paradossale, proposta di esclusione dal servizio sanitario pubblico etc.) dovremmo scrivere a "Odiare ti costa"? Potremmo querelarlo (colpendolo nella tasca, ma sempre a rischio di rimetterlo al centro di qualcosa). Oppure potremmo lasciarlo abbaiare e fargli sentire la sua eco. Che si esaurirebbe fra gli applausi evanescenti degli adepti, veri o presunti. Che chiusi dentro la torre ci restino loro.
Il velame spettacolistico, di cui questi personaggi avvolgono qualunque cosa, vive di polemiche che generano polemiche e altre polemiche. Quasi sempre sul nulla. Al solo scopo di tenere calde le tifoserie. L'unica loro paura è che si evada dalle curve. Lo abbiamo visto con la telenovela di aggressioni verbali anti-salviniane. Il cui scopo era sia il casting dei più fedeli alla linea, sia la costruzione dello stesso Salvini (che infatti è piuttosto collaborativo rispetto ai battibecchi da social). Per intrappolare il dissenso dentro uno strato di dibattito del tutto impolitico in cui ciascuno possa dire la propria con facilità, come a tavola o al bar. Nella speranza che anche gli indifferenti (e in questo caso è una virtù) siano spinti a simpatizzare o antipatizzare, e che magari i più traggano da queste suggestioni ragioni di orientamento o voto, perché sappiamo che l'importante è non costruire niente che vada oltre il recinto in cui stanno tutti questi beniamini, Salvini e Meloni compresi (un voto in più a loro va bene anche ai loro "avversari": è un punto a favore comunque del carrozzone).
Perché gli influencer di regime (provocatori compresi) non sono catalizzatori di consenso. Sono immobilizzatori di fasce d'opinione più o meno stabili (o da stabilizzare appunto). Il loro bombardamento mediatico non è riuscito a cambiare l'orientamento di grandissima parte del Paese praticamente su nulla (intenzioni di voto comprese, visti i dati). Il che significa che spuntare queste armi di propaganda viventi sta a noi. Eliminando l'audio. Facendo in modo che non siano loro ad impostare anche il nostro campo. Poi, certo, rappresentano solo un pezzetto del discorso, e le loro connessioni agli altri pezzi (compreso il discorso dei decisori politici e il dibattito che ne alimenta ragioni e pretesti) sono complesse. Ma di questo fatemi parlare in un'altra occasione, ché già l'aver durato la fatica di leggere fin qui vi qualifica come eroi.
Gavino Piga
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