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Assange: una finestra sul crollo dello Stato di diritto

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Chris Hedges, giornalista e Premio Pulitzer, è stato per quindici anni corrispondente estero del New York Times, a capo del Middle East Bureau e del Balkan Bureau del prestigioso giornale. In precedenza ha lavorato all'estero per The Dallas Morning News, The Christian Science Monitor e NPR. È il conduttore dello show di RT America On Contact, nominato agli Emmy Award. L'11 giugno scorso ha pronunciato un appassionato, commovente discorso in difesa di Julian Assange, che riportiamo qui integralmente tradotto (fonte: Chris Hedges: Julian Assange and the Collapse of the Rule of Law (mintpressnews.com)).



Una società che vieta la capacità di parlare in verità spegne la capacità di vivere nella giustizia. Per questo siamo qui stasera. Sì, tutti noi che conosciamo e ammiriamo Julian denunciamo la sua prolungata sofferenza e la sofferenza della sua famiglia. Sì, chiediamo che i molti torti e le ingiustizie che gli sono stati fatti debbano finire. Sì, lo onoriamo per il suo coraggio e la sua integrità. Ma la battaglia per la libertà di Julian ha sempre riguardato molto più che la persecuzione di un editore. È la battaglia per la libertà di stampa più importante della nostra epoca. E se perdiamo questa battaglia sarà devastante, non solo per Julian e la sua famiglia, ma per noi.


Le tirannie invertono lo Stato di diritto. Trasformano la legge in uno strumento di ingiustizia. Nascondono i loro crimini in una finta legalità. Usano il decoro dei tribunali e dei processi per mascherare la loro criminalità. Coloro che, come Julian, denunciano questa criminalità all'opinione pubblica sono pericolosi, perché senza il pretesto della legittimità la tirannia perde credibilità e non ha più nulla nel suo arsenale se non la paura, la coercizione e la violenza. La lunga campagna contro Julian e WikiLeaks è una finestra sul crollo dello Stato di diritto, sull'ascesa di quello che il filosofo politico Sheldon Wolin chiama «il nostro sistema di totalitarismo invertito», una forma di totalitarismo che mantiene le apparenze della vecchia democrazia capitalista - comprese le istituzioni, l'iconografia, i simboli patriottici e la retorica - ma internamente ha ceduto il controllo totale ai dettami delle corporazioni globali.


Ero nell'aula del tribunale di Londra quando Julian veniva processato dal giudice Vanessa Baraitser, una versione aggiornata della Regina di Cuori in Alice nel Paese delle Meraviglie, che chiedeva la sentenza prima di pronunciare il verdetto. Era una farsa giudiziaria. Non c'era alcuna base giuridica per tenere Julian in prigione. Non c'era alcuna base legale per processare lui, cittadino australiano, ai sensi dello U.S. Espionage Act. La CIA ha spiato Julian nell'ambasciata attraverso una società spagnola, UC Global, ingaggiata per fornire la sicurezza dell'ambasciata. Questo spionaggio includeva la registrazione delle conversazioni private tra Julian e i suoi avvocati mentre discutevano della sua difesa. Già questo fatto, da solo, invalida il processo. Julian è detenuto in una prigione di alta sicurezza in modo che lo Stato possa, come ha testimoniato Nils Melzer, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, continuare gli abusi degradanti e la tortura che spera porti al suo annichilimento psicologico se non fisico.


Il governo degli Stati Uniti ha dato le direttive al procuratore di Londra James Lewis, come Craig Murray ha documentato in modo così eloquente. E Lewis ha presentato alla Baraitser quelle direttive, che lei ha poi adottato come sua decisione legale. È stata una pantomima giudiziaria. Lewis e il giudice hanno insistito sul fatto che non stavano cercando di criminalizzare i giornalisti e imbavagliare la stampa, mentre alacremente impostavano il quadro giuridico per criminalizzare i giornalisti e imbavagliare la stampa. Ed è per questo che il tribunale ha lavorato così duramente per nascondere il procedimento al pubblico, limitando l'accesso all'aula a una manciata di osservatori e rendendo difficile - talora impossibile - accedere al processo da remoto. È stato uno squallido spettacolo processuale, un esempio del meglio non della giurisprudenza inglese ma di quella di Lubyanka.


Ora, so che molti di noi qui stasera vorrebbero pensarsi come radicali, forse perfino rivoluzionari. Ma la nostra richiesta allo spettro politico è in realtà conservatrice: è il ripristino dello Stato di diritto. È semplice ed elementare. In una democrazia che funzioni questa richiesta non dovrebbe essere incendiaria. Ma vivere nella verità in un sistema dispotico è l'atto supremo di sfida. Questa è la verità che terrorizza chi è al potere: gli architetti dell'imperialismo, i maestri della guerra, i rami legislativo, giudiziario ed esecutivo del governo controllato dalle imprese, e i loro ossequiosi cortigiani nei media, sono illegittimi. Dite questa semplice verità e sarete respinti, come molti di noi lo sono stati, ai margini del panorama mediatico. Dimostrate questa verità, come hanno fatto Julian, Chelsea Manning, Jeremy Hammond ed Edward Snowden permettendoci di scrutare il funzionamento interno del potere, e sarete braccati, perseguitati.


Poco dopo che WikiLeaks ha reso pubblici i registri di guerra in Iraq nell'ottobre 2010, documentando numerosi crimini di guerra degli Stati Uniti - tra cui immagini video dell'uccisione di due giornalisti Reuters e di altri 10 civili disarmati nel video sull'omicidio collaterale, la tortura di routine dei prigionieri iracheni, la copertura di migliaia di morti civili e l'uccisione di quasi 700 civili che si erano avvicinati troppo ai posti di blocco statunitensi - gli importanti avvocati per i diritti civili Len Weinglass e il mio buon amico Michael Ratner, che in seguito avrei accompagnato per incontrare Julian nell'ambasciata ecuadoriana, hanno incontrato Julian in un monolocale nel centro di Londra. Le sue carte bancarie personali erano state bloccate. Tre laptop criptati con documenti che dettagliavano i crimini di guerra negli Stati Uniti erano scomparsi dai suoi bagagli in rotta verso Londra. La polizia svedese stava fabbricando un caso contro di lui in una mossa - avvertì Ratner - che mirava a estradare Julian negli Stati Uniti.


«WikiLeaks e tu personalmente state affrontando una battaglia legale e politica», disse Weinglass ad Assange. «Come sappiamo dal caso dei Pentagon Papers, al governo degli Stati Uniti non piace che la verità venga fuori. E non gli piace essere umiliato. Non importa se si tratta di Nixon o Bush o Obama, né che ci sia un repubblicano o un democratico alla Casa Bianca. Il governo degli Stati Uniti cercherà di impedirvi di rendere pubblici i suoi scheletri nell'armadio. E se devono distruggere te, e il Primo Emendamento o i diritti degli editori con te, sono disposti a farlo. Crediamo che daranno la caccia a WikiLeaks e a te, Julian, come editore».


«Darmi la caccia per cosa?»


«Spionaggio», continuò Weinglass. «Accuseranno Bradley Manning di tradimento ai sensi dell'Espionage Act del 1917. Non pensiamo che possa essere applicato a lui, perché è un informatore non una spia, e neanche a te perché sei un editore. Ma cercheranno di costringere Manning a coinvolgerti come suo collaboratore».


«Darmi la caccia per cosa?» Questa è la domanda. Gli hanno dato la caccia non per i suoi vizi, ma per le sue virtù. Lo hanno braccato perché ha rivelato le oltre 15.000 morti non segnalate di civili iracheni; perché ha denunciato la tortura e l'abuso di circa 800 uomini e ragazzi, di età compresa tra i 14 e gli 89 anni, a Guantánamo. Perché ha rivelato che Hillary Clinton nel 2009 ha ordinato ai diplomatici statunitensi di spiare il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon e altri rappresentanti Onu provenienti da Cina, Francia, Russia e Regno Unito: spionaggio che includeva ottenimento del DNA, scansioni dell'iride, impronte digitali e password personali, parte del lungo modello di sorveglianza illegale che aveva incluso le intercettazioni al Segretario Generale Onu Kofi Annan nelle settimane precedenti l'invasione dell'Iraq guidata dagli Stati Uniti nel 2003. Perché ha rivelato che Barack Obama, Hillary Clinton e la CIA hanno orchestrato il colpo di stato militare del giugno 2009 in Honduras, quello che ha deposto il presidente democraticamente eletto Manuel Zelaya sostituendolo con un regime militare sanguinario e corrotto. Perché ha rivelato che George W. Bush, Barack Obama e il generale David Petraeus hanno perseguito una guerra in Iraq che dalle leggi post-Norimberga è definita come una guerra criminale di aggressione, un crimine di guerra. E che hanno autorizzato centinaia di omicidi mirati, compresi quelli di cittadini statunitensi in Yemen, e che hanno segretamente lanciato attacchi missilistici, bombe e droni contro lo Yemen, uccidendo decine di civili. Perché ha rivelato che Goldman Sachs ha pagato a Hillary Clinton 657.000 dollari per fare discorsi, una somma così alta che può essere considerata solo una tangente, e che lei ha assicurato privatamente ai leader aziendali che avrebbe eseguito i loro ordini, promettendo il regolamento e la riforma della finanza pubblica. Perché ha raccontato la campagna intestina per screditare e distruggere il leader del Partito Laburista britannico Jeremy Corbyn da parte di membri del suo stesso partito. Perché ha raccontato come gli strumenti di hacking utilizzati dalla CIA e dalla National Security Agency consentano la sorveglianza governativa all'ingrosso dei nostri televisori, computer, smartphone e software antivirus, consentendo al governo di registrare e archiviare le nostre conversazioni, immagini e messaggi di testo privati, anche da app crittografate.


Julian ha scoperto la verità. L'ha detta più e più volte, finché non è rimasto alcun dubbio circa l'illegalità endemica, la corruzione e la falsità che definiscono l'élite dominante globale. E per queste verità gli hanno dato la caccia, come hanno fatto con tutti coloro che hanno osato strappare il velo sul potere. «Ora è sparita anche la Rosa rossa» - scrisse Bertolt Brecht dopo l'assassinio della socialista tedesca Rosa Luxemburg - «siccome disse ai poveri la verità, i ricchi l’hanno spedita nell’aldilà».


Abbiamo subito un colpo di Stato corporativo, in cui i poveri e i lavoratori sono ridotti alla mancanza di lavoro e alla fame. Dove la guerra, la speculazione finanziaria e la sorveglianza interna sono gli unici veri affari dello Stato. Dove non esiste più l'habeas corpus; dove noi, come cittadini, non siamo altro che merci per i sistemi di potere aziendali: siamo quelli da utilizzare, spennare e scaricare. Rifiutarsi di reagire, di raggiungere e aiutare i deboli, gli oppressi e i sofferenti, di salvare il pianeta dall'ecocidio, di denunciare i crimini interni e internazionali della classe dirigente, di chiedere giustizia, di vivere nella verità, significa portare il marchio di Caino. Chi è al potere deve sentire la nostra ira, e questo significa costanti atti di disobbedienza civile di massa. Significa costanti atti di disgregazione sociale e politica, perché questo potere organizzato dal basso è l'unico potere che ci salverà e l'unico potere che libererà Julian. La politica è un gioco di paura. È nostro dovere morale e civico rendere coloro che sono al potere molto, molto spaventati.


La classe dirigente criminale ci ha tutti rinchiusi nella sua morsa della morte. Non può essere riformata. Ha abolito lo Stato di diritto. Oscura e falsifica la verità. Cerca il consolidamento della sua oscena ricchezza e del suo potere. E così, per citare la Regina di Cuori, metaforicamente ovviamente, dico: "Via la testa!"



[traduzione italiana a cura di Gavino Piga]

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